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Perché Twitter è ancora pieno di troll

Twitter ha sospeso 1 milione di account falsi o sospetti ogni giorno negli ultimi mesi, secondo quanto riportato dal Washington Post a luglio. Si tratta di un numero che è più del doppio del tasso di sospensione di esattamente un anno fa, qualcosa in grado di intaccare le dimensioni della fanbase di iscritti. Stando alla compagnia che ha inventato il microblog, meno del 5% dei suoi account attivi è spiccatamente fake, troppo poco per crederci. La nuova politica 2018 aggressiva di Twitter va di pari passo con l’utilizzo della piattaforma per scopi illeciti. Uno tra tutti la propaganda estremista, che proprio tra i 140 caratteri aveva trovato fonte di comunicazione privilegiata.

Il fatto che il sito possa espellere 1 milione di profili al giorno per diversi mesi, senza un termine concreto, suggerisce che non è più questione di volontà. Alla base di questo uso inappropriato c’è un problema strutturale: indipendentemente da quanti utenti vengano sospesi, le persone che li creano possono sempre fare di più. Sistemi automatici permettono di gestire migliaia di bot che fungono da troll, e che possono moltiplicarsi molto più velocemente di qualsiasi altro moderatore umano. Certo, la stessa Twitter conta sui strumenti di controllo e verifica molto avanzati, ma è palese che così si andrà avanti per un bel po’, in una sorta di battaglia al cane-e-gatto 2.0.
Vale la pena spiegare cosa si intenda per fake. Da un lato i servizi autonomi progettati esclusivamente per amplificare determinati post; dall’altro chi twitta per creare disagio e molestie, ovvero esseri umani in carne e ossa. Spesso Twitter li considera un tutt’uno ma questi ultimi sono probabilmente meno numerosi e più dannosi per l’esperienza complessiva del sito. Sono anche più difficili da controllare: Twitter si basa su altri utenti per segnalare i tweet che potrebbero violare i termini di servizio. È difficile, forse impossibile, automatizzare tali processi per identificare in modo affidabile chi incita all’odio o minaccia specificatamente certe persone. Eppure l’azienda ha fatto un bel passo in avanti verso la pulizia, tramite software che nascondono i messaggi dagli account sospettati di essere troll, in base ad attività e interazioni.

Ma perché così tanti troll su Twitter? Alcune persone hanno l’impressione di poter dire qualsiasi cosa online e farla franca. Il microblog consente di creare nomi che non sono collegati alle identità del mondo reale dunque, l’effetto dell’anonimato sta nel favorire un comportamento più deviante, con conseguenze avvertite lontane. E alcuni studi suggeriscono che anche se gli individui usano foto e nomi reali, potrebbero ancora pensare che le loro espressioni siano relativamente private.

Le scienze parlano di SIDE riguardo al modello di identità sociale degli effetti di deindividuazione. La teoria è semplice: ciò che si è nella vita reale non sempre corrisponde all’atteggiamento sui social. Sara potrebbe essere una simpatica persona civile offline, ma quando è online per parlare della sua band preferita potrebbe trasformarsi in una teppista e lanciare insulti a chi critica la loro musica. Ciò è vero soprattutto nelle discussioni politiche, in cui le persone iniziano a rispondere sulla base di affiliazioni di partito, fazioni nazionali, etniche, religiose o di altro tipo. Questo processo è noto in forme più estreme come “mentalità da mob”, dove il singolo agisce in rete alla stessa maniera del gruppo di riferimento e, di conseguenza, se tutti all’interno si conformano, lo stesso gruppo finirà col far prevalere idee ed espressioni, azzerando le individualità.

Così come nelle dinamiche della vita organica, ci sono delle forzature su Twitter che sono venute a galla. Difficilmente si riuscirà ad escluderle del tutto, perché faranno sempre parte della natura umana e dunque si ripresenteranno prima o poi. Meglio imparare a conoscerle, per evitarle, proprio come eviteremmo quella persona che, a lavoro come a scuola, proprio non riusciamo a sopportare.

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